L’insediamento “programmato” ed il suo contesto territoriale
Castelfranco Veneto, borgo fortificato, “franco” da imposte per i suoi abitanti-difensori, donde la denominazione, è fondato negli ultimi anni del XII secolo, dal Comune di Treviso, poco a nord del villaggio medievale della Pieve Nova (sito dell’attuale Borgo della Pieve), sulla sponda orientale del torrente Muson, confine naturale della Marca Trevigiana con le turbolente terre padovane e vicentine.
Il ruolo strategico della nuova fortezza, forse installata sopra un preesistente rilevato a pianta quadrilatera, simile alle non lontane Motte di Castello di Godego, si conferma nella prossimità all’incrocio fra tracciati viari romani di primaria rilevanza (le vie Postumia ed Aurelia), ma particolarmente nella centralità rispetto ad un territorio popolato, fin dall’XI sec., da fortilizi (castra) signorili (Godego e Treville) e vescovili (Salvatronda, Riese e Resana).
Un nugolo di pievi battesimali (Godego ne è il riferimento arcipretale) e di cappelle filiali, centri religiosi e, di fatto, anche civili d’una trentina di villaggi, copre, da secoli, il territorio circostante la fortezza, al momento della sua edificazione. Le terre a settentrione sono incise dall’erratico alveo del Muson, dal quale si conduce una roggia, il Musonello, ad alimentare i fossati del castello e la nascente economia dell’abitato (bastia vecchia) che, già nei primi anni del sec. XIII, si configura ad est delle mura, ove subito si appresta un ospizio per poveri e viandanti.
Intorno alle mura, campagne coltivate e ampie macchie boschivi, recano i segni di sedimentazioni antropiche. Alcune, isolate, come le ricordate Motte di Castello di Godego, il castelliere di Vallà e gli insediamenti lungo l’alto corso del Sile, risalgono all’età del Bronzo recente (XIII-XII sec. a.C); altre, connesse alla colonizzazione romana (secoli II-I a.C.), come la maglia centuriata degli agri di Asolo e Bassano-Cittadella, appaiono diffuse su ampia scala e tuttora leggibili in tracciati stradali e negli assetti poderali del settore a settentrione di Castelfranco.
La fortezza, a pianta quadrilatera, con lati di circa 230 metri, fu munita di quattro torri angolari e da un alto torrione merlato, eretto sul punto mediano della cortina muraria sul lato verso Treviso. Una sesta torre (l’odierno campanile del Duomo) venne aggiunta da Ezzelino III da Romano, dopo il 1246, a metà delle mura sul versante di meridione.
In un contesto territoriale già riccamente strutturato, Castelfranco assume ben presto un ruolo-guida, in forza della sua centralità geografica, della sua funzione militare e del ruolo politico che ne consegue, ma soprattutto per effetto della straordinaria potenzialità di attrazione economica espressa dal suo antico mercato, non solamente verso il contado, ma anche nei riguardi del Bassanese, della Pedemontana, delle contigue aree padovane e vicentine. La Castellana (come da tempo convenzionalmente si definisce il territorio storico di Castelfranco) per secoli si riferirà a questo centro urbano di nuova fondazione, soprattutto a partire dal 1388, l’anno in cui la Repubblica di San Marco espande definitivamente il proprio dominio sulla Marca Trevigiana.
L’arrivo della Serenissima chiude per Castelfranco oltre un secolo di eventi bellici. Strumento militare del Comune di Treviso, sino al 1242, nelle guerre contro i Padovani (assedio del 1215) ed Ezzelino III da Romano (dal 1229), il castello passa a quest’ultimo nel 1246. Ezzelino fortifica ulteriormente la cinta murata con due gironi over torrioni, ma ne perderà il possesso alla morte, il 29 settembre 1259, a beneficio di Treviso. Nel 1329 Castelfranco cade nelle mani di Cane della Scala, per restare in possesso scaligero sino all’inizio della prima dominazione veneziana (24 gennaio 1339). Il 20 dicembre 1380 un nuovo signore si affaccia sulla scena: il padovano Francesco da Carrara. La memoria di questa breve dominazione, conclusasi alla fine del 1388, rimarrà indelebilmente consegnata alla rappresentazione a fresco dell’arma carrarese in forma di ruote di carro, sotto il volto della torre principale, detta davanti.
Dal 1389 alla caduta della Repubblica Veneta (1797), se si esclude la breve parentesi dell’infeudamento al condottiero Micheletto degli Attendoli, conte di Cotignola (1447-1452), per i servizi militari resi alla Serenissima, Castelfranco Veneto assume formalmente e di fatto il ruolo di centro politico di una podesteria, governata da un patrizio veneziano che vi risiede, con il titolo di podestà, cui spetta l’amministrazione della giustizia civile e criminale nella Terra (il castello, le bastie ed i borghi della città) e nella Podesteria vera e propria, ovvero l’insieme dei villaggi del contado. Ognuna di queste entità territoriali disporrà, sino al 1797, di propri organismi di autogoverno locale, ma dovrà sottostare, sino al 1805, all’antico codice legislativo (gli Statuti) della città fondatrice, Treviso.
Con le terre trevigiane finalmente tranquille e sicure, alcune tra le più ricche famiglie patrizie veneziane intraprendono ampi investimenti fondiari nella Castellana, ponendo le premesse d’una splendida civiltà di villa che “esploderà” a partire dai primi decenni del Cinquecento. I Soranzo acquistano terreni nell’omonima località (l’antico villaggio medievale di San Colombano), già nel 1317; i Corner sono presenti a Poisolo e S. Andrea Oltre il Muson nel 1358; i Renier a Castello di Godego nel 1379 (prima del 1446 subentreranno i Mocenigo); i Barbarigo, nel 1378, e gli Emo, nel 1422, a Fanzolo; a Treville, i Priuli nel corso del sec. XV.
Alla metà del Quattrocento, le prime seriole della Brentella (derivata dal Piave a Pederobba) giungono ad irrigare le campagne sassose e, sino ad allora, sterili, di Riese, Vedelago e Fanzolo. L’agricoltura lentamente rifiorisce e aumenta la produzione di frumento e di altri cereali minori. Sulla vasta spianata a nord del castello, la Repubblica di Venezia, conscia della rilevanza assunta dal mercato di Castelfranco nella commercializzazione dei grani, provvede ad erigere, nel 1420, un padiglione o pavion, sotto il quale, al riparo dalle intemperie, si svolgono le contrattazioni. Intorno al mercato proliferano botteghe, magazzini e laboratori artigianali. La roggia Musonello, derivata dal Muson, è l’arteria vitale dell’economia cittadina. La società locale si stratifica sempre più: notai e legisti, bottegai e mercanti, ma soprattutto “mastri” di ogni specie (vasai, maniscalchi, zoccolai, sellai, carradori, falegnami, sarti, ecc.) animano la scena d’una comunità che, nel 1467, conta circa tremila abitanti. Sul fronte orientale e settentrionale del castello, si infittisce il tessuto edilizio. Nei primi anni del Quattrocento si costruisce, al centro del castello, una nuova residenza per il podestà veneziano che funge pure da sede dei consigli della comunità cittadina e del contado. Interposto fra il nuovo palazzo pretorio e la chiesa romanica di dentro, si costruisce, nel 1493, un Monte di Pietà. La torre davanti assurge a simbolo della comunità urbana e della fedeltà a Venezia: nel 1499 vi si colloca l’orologio e sopra esso il leone di S. Marco. Al trecentesco convento di S.Antonio nel Borgo della Pieve, se ne aggiunge, all’inizio del XV sec., nella Bastia Vecchia, un secondo, con annessa chiesa, abitato da una comunità di Serviti.
Nel 1509, l’uragano della guerra di Cambrai investe Castelfranco. Occupato nel giugno dalle truppe dell’imperatore Massimiliano, ripreso dai Veneziani il 20 del luglio successivo, nuovamente in mano tedesca pochi giorno dopo e successivamente liberato dai soldati di S. Marco, invaso dai Francesi nel 1511, il castello denuncia, nel corso del conflitto, la propria obsolescenza strutturale alle nuove teniche di assedio ed all’uso massiccio e distruttivo dell’artiglieria, e la perdita definitiva di qualsiasi rilevanza strategica nello scacchiere della Terraferma veneta centrale.
Con il 1517 si chiude un’epoca per Castelfranco e si apre una fase nuova, di pace ininterrotta sino al 1796 e di intenso sviluppo edilizio ed economico.
Quasi liberata dalla rigida dimensione militare propria del castello, Castelfranco si trasforma, nel corso del sec. XVI, in una “quasi-città” (la felice espressione è dello storico Giorgio Chittolini), mediante un dinamico processo di evoluzione del proprio tessuto economico e di riqualificazione ed addensamento del proprio patrimonio edilizio, pubblico e privato. Le famiglie della “nobiltà” cittadina, i mercanti e, soprattutto, gli artigiani, divengono protagonisti attivi d’un’accelerazione straordinaria verso un esito che, a fine secolo (1597), il podestà Benetto Balbi descriverà con queste parole: “Le mura, spalti et fosse del castello sono poste nel mezo della Terra, attorno le quali vi sono le publiche piazze delli mercati, che ogni settimana ordinariamente con molto concorso di gente si fanno; sono torniate da una bastia di case et portici con le sue boteghe de diverse arti, et mercanzie; con suoi borghi quali tutti corispondono alle publiche piazze et fosse, et castello, benissimo casadi et populadi; dentro il detto castello il palazzo residentia delli Rettori et à dirimpetto è situato il Monte santo di pietà […]; ivi contigua vi è la chiesa parrochiale di San Liberale, et tutto il resto ripieno di bellissimi casamenti abitati da cittadini, mercanti et artisti dalle qual cose ne seguono l’augmento delli datii […] di pani, lane, barette, capeli et sede che si trazeno in questa terra che fanno per la mittà del datio di tutto il trivisano.”. Dunque: Castelfranco, a fine Cinquecento, a meno di un secolo dalla fine della guerra di Cambrai, ha mutato profondamente la propria identità e, con essa, il proprio volto urbanistico. L’incremento demografico, 4.400 abitanti nel 1567 (nel 1680, se ne stimeranno 5.000) ed il dinamismo intrinseco dell’economia cittadina intorno ad un mercato in continua espansione sono le ragioni più evidenti d’un’impetuosa spinta edificatoria, che si propaga dai quartieri interni alle mura alle Bastie orientale e settentrionale, ai Borghi della Pieve, di Treviso, d’Asolo e Allocco. Questo profondo rinnovamento edilizio non scardina il rigido assetto medievale interno al castello, l’impianto prederminato delle bastie orientale e settentrionale e gli allineamenti lungo gli assi stradali dei borghi della Pieve, di Treviso, d’Asolo ed Allocco.
I settori di più intenso sviluppo sono sicuramente le Bastie, ad est e a nord della fortezza, ove alte case signorili, talora con facciate decorate da affreschi, vengono erette da ricche famiglie di cittadini (tra cui gli Spinelli, i Piacentini, i Pulcheri, i Novello, i Guidozzi, i Barbarella, i Marta, i Riccati, i Colonna), che progressivamente si autoidentificano in ceto politico e dirigente, estromettendo dalle cariche di governo, entro la metà del sec. XVI, i reali produttori di ricchezza (artigiani e mercanti).
Lo stesso governo comunitario concorre alla rinascita cittadina, ricercando l’affermazione d’un’ inedita identità “urbana” in senso anti-trevigiano che si materializza in un “catalogo” sempre più denso di edifici pubblici e religiosi. E’ del 1532 la ricostruzione della loggia del mercato, o paveion, mentre nel 1574 si erige un nuovo convento (dei Cappuccini). La peste del 1576-8 semina la morte anche a Castelfranco, ma non rallenta il dinamismo della società castellana, favorito dalla posizione strategica della città nello scacchiere viario del Terraferma veneta centrale.
Castelfranco è tappa obbligata per i convogli di merci e passeggeri sul tragitto tra la Germania e le Fiandre e Venezia, o provenienti dalla strada di Pontebba e diretti verso la Lombardia, il Piemonte e, più oltre, la Francia e la Spagna.
Alla fine del sec. XVI, si pone mano a quasi tutti i ponti della cerchia urbana, ricostruendoli in pietra (1591) e si edifica (1598) ancora un convento, in Borgo Allocco, per una comunità di monache clarisse, per sciogliere il voto fatto in occasione della pestilenza di qualche decennio addietro.
Anche l’assetto ecclesiastico castellano registra un radicale e definitivo mutamento in questa fase storica. Nel 1584, infatti, nel tentativo di porre termine a secolari conflitti tra le due parrocchie cittadine (la Pieve di fuori e la chiesa di dentro), si procede all’individuazione dei confini tra le due giurisdizioni, definendo due ambiti territoriali giunti immodificati sino ad oggi.
La febbre di rinnovamento che aveva assalito Castelfranco nel Cinqucento si spegne quasi totalmente nel corso del sec. XVII. La città sembra chiudersi in sé stessa, al punto che neppure la terribile peste del 1629-31 riesce a penetrare oltre i restelli installati sui ponti di accesso al nucleo urbano. Solo l’acqua del Muson, durante le sue non infrequenti brentana, travolti gli argini, entra in città, come nel 1621, allagando il settore nord-orientale all’esterno del castello e riversandosi nelle fosse
Il sec. XVII porta con sé due episodi distruttivi, ambedue a danno della torre civica. Il segmento sommitale del manufatto crolla all’improvviso alle 23 del 3 gennaio 1637, causando la distruzione di case vicine e la morte di qualche loro abitante. Il restauro ed il consolidamento, progettati da Pietro Bettinelli, proto alle fortezze della Repubblica Veneta, sono vanificati dal violento terremoto di Santa Costanza, che, a mezzogiorno del 25 febbraio 1695, scuote nuovamente la torre. Nuovamente disfatte la cupola, la cuba e l’ottagono, sulle facciate di levante e di occidente si aprono due ampie fessure. Le pronte opere di ripristino, restituiscono a Castelfranco, nella primitiva integrità, il proprio edificio-simbolo.
L’autonomismo perseguito da Castelfranco nei riguardi di Treviso e una più marcata frequentazione dell’ambiente culturale padovano (Università e Collegi, nei quali studiano i giovani rappolli delle famiglie cittadine castellane) favoriscono, agli inizi del secolo dei Lumi, la formazione e la maturazione in terra castellana d’un folto gruppo di matematici, fisici, teorici dell’architettura e della musica ed architetti “tout court”, spesso tra loro imparentati, dai quali muove, più o meno direttamente, una formidabile spinta di rinnovamento che torna a scuotere la vita pubblica di Castelfranco.
Jacopo Riccati (1676-1754), esponente d’una delle famiglie più ricche della città, è il personaggio di maggior spicco nella prima metà del secolo, anche per il peso politico da lui avuto nel governo della Comunità cittadina, nella quale assume ripetutamente la carica di provveditore. I figli di Jacopo, Vincenzo (1707-1775), Giordano (1709-1790) e Francesco (1718-1791), Giovanni Rizzetti (1675-1751) e, soprattutto, l’architetto Francesco Maria (1701-1774), sono alcuni tra i maggiori esponenti di una cerchia di intellettuali connotata da un dialettico e variegato dibattito scientifico e da traiettorie speculative e progettuali, talora di assoluta originalità.
In questo clima di fervore culturale, connotato da un “illuminismo” moderato, emerge l’esigenza di costruire una memoria storica collettiva, che ricomponga in compilazioni erudite l’identità cittadina. Il compito è assunto da Nadal Melchiori, al quale si deve, nei primi trent’anni del secolo, la redazione di un “corpus” monumentale di opere manoscritte, grazie alle quali Castelfranco rilegge retrospettivamente un percorso di cui precedentemente mai aveva avuto piena consapevolezza. Gli anni della ricognizione su un passato degno di memoria e motivo di orgoglio “municipale” sono anche il tempo delle distruzioni, dei rinnovamenti e dei rimodellamenti, che coinvolgono interni e facciate di palazzi della Bastia orientale e della piazza del mercato, ma soprattutto, per effetto delle progettazioni dell’architetto Francesco Maria Preti, alcuni dei punti urbanisticamente più sensibili della città.
L’assetto idraulico del nucleo urbano viene sottoposto ad un’efficace riorganizzazione, auspice quel Jacopo Riccati, che della regolazione delle acque è uno dei maestri riconosciuti all’epoca. Così, nel primo quinquennio del secolo si provvede a tracciare una nuova deviazione della roggia Musonello attraverso la piazza del mercato, per condurre acqua corrente nelle fosse, ridotte ad un malsano stagno circolare. Un vasta ed onerosa impresa di escavazione risana le fosse medesime, tra il 1702 ed il 1703, il cui flusso e deflusso idrico vengono regolati mediante la costruzione di appositi manufatti.
Nella prima metà del secolo, l’annalista Nadal Melchiori sottolinea eloquentemente la vitalità della società di Castelfranco, molto popolato arrivando li suoi abitanti al numero di sei milla anime, oltre li Forestieri, che di continuo giungono, è però è scala e porta frequentatissima de monti col mare. Le strade della città sono commode, larghe, piane […] e coperte di cogoli ed il suo commerzio e trafico principalmente consiste in lane, calze telle, sede, panni, legnami, bestiami et ogni sorte de commestibili. Le sue ottime osterie sono a commodo non solo de’ i mercanti e i numerosi passaggieri dalla Germania in Italia, ma ancora per l’alloggio de Prencipi e nobiltà, che di continuo vanno e ritornano da Venezia.
Il quadro ottimistico del Melchiori, non lascia, tuttavia, trapelare la profonda crisi politica che attanaglia la nobiltà locale. La disaffezione per le cariche pubbliche e la pesante pressione fiscale sia locale che statale gravano su un ceto sociale che non dimostra altrettanto dinamismo economico quanto quello esibito da mercanti ed artigiani. Nel 1719 si assiste ad un tentativo di impedire l’accesso alle cariche politiche della Comunità cittadina ai non nobili, ma nel 1728 è la stessa Repubblica Veneta, preoccupata dalla ridotta funzionalità dei consigli cittadini di terraferma, a togliere ogni divieto di assunzione di incarichi ed uffici pubblici da parte di chi non abbia almeno 20 anni ed una minima capacità contributivo. Dopo il 1728, e sino al 1797, gli organi collegiali di governo castellani vedranno seduti fianco a fianco esponenti di casate illustri (Riccati, Guidozzi, Colonna, Piacentini, ecc.), artigiani e commercianti (Puppati, Moletta, Trevisan, ecc.)
La crisi politica (che è anche demografica ed economica) dello Stato veneto di Terraferma, nella seconda metà del Settecento, non risparmia Castelfranco: la popolazione diminuisce (3.374 abitanti nel 1766) e le pubbliche intraprese subiscono una battuta d’arresto, cosicchè si sfruttano risorse edilizie resesi disponibili dopo le soppressioni conventuali del 1769, per allocarvi l’Ospedale (è il caso del convento dei Cappuccini) ed il Collegio comunale (istituito nel 1782) nel convento dei Serviti.
Nella primavera del 1796, Francia ed Austria, in conflitto tra loro, invadono la Repubblica Veneta, ponendo, così, fine a quasi tre secoli di pace. Soldatesche straniere battono le strade del territorio di Castelfranco, trasformandolo in campo di battaglia e sottoponendo ad angherie, violenze e requisizioni la popolazione della città e dei villaggi del circondario.
Il 2 maggio 1797, Napoleone Bonaparte entra in Treviso e il 17 dello stesso mese si costituisce a Castelfranco la Municipalità democratica, presieduta da Enrico Rainati. A memoria delle novità rivoluzionarie, l’8 giugno, abbattuti i simboli della Serenissima, l’albero della libertà viene piantato nel “piazzotto” del castello.
Ma la dominazione francese ha vita breve, perché, già con il trattato di Campoformido del 17 ottobre 1797, il Veneto passa nelle mani dell’Austria, rimanendovi sino alla fine del 1805. Il 26 dicembre di quell’anno, la Castellana, con le provincie venete viene annessa al napoleonico Regno d’Italia. Dal 22 dicembre 1807 all’inizio del 1815, Castelfranco Veneto fa parte del Dipartimento del Bacchiglione, con Vicenza città capoluogo. La fine del sogno di Napoleone imperatore, sancita dal Congresso di Vienna (1814) coincide con il ritorno delle terre venete all’Austria, che vi dominerà sino al 1866.
La prima metà dell’Ottocento si connota, per Castelfranco, con una lenta rinascita edilizia, economica e culturale. La costruzione di nuovi edifici pubblici (in primo luogo il Monte dei Pegni, nel 1825), la fondazione, nel 1822, della Cassa di Risparmio (una delle prime in Italia), il fiorire della Scuola Comunale sotto la direzione di Sebastiano Soldati, futuro vescovo di Treviso, l’istituzione (1816) e la lunga attività culturale d’una filoaustriacante Accademia dei Filoglotti (ne sono soci, tra gli altri, L. Crico, J. Monico, A. Fusinato), sono solo alcuni tra i sintomi d’una cittadina ambiziosa e ancora provvista del dinamismo sufficiente per crescere e progredire, dopo la caotica fase storica vissuta dal 1796 al 1814.
Le tensioni risorgimentali non scuotono oltre misura Castelfranco, elevata al rango di Città con rescritto imperiale del 6 giugno 1861 forse per controbilanciare l’attività del filosabaudo Comitato segreto castellano (presieduto, fino al 1864, dal poeta Arnaldo Fusinato), il cui empito patriottico viene sicuramente superato dalle esperienze di due castellani : Antonio Turcato, fucilato dagli austriaci nel 1860, a Vicenza, e Antonio Guidolin, detto “dei Mille” per aver partecipato alla leggendaria spedizione garibaldina.
Nel 1866, il Veneto (e Castelfranco) si riunisce all’Italia e l’evento viene celebrato con sfarzo nella villa dei Revedin, in Borgo di Treviso, alla presenza del principe Amedeo di Savoia. L’Unità accende una nuova stagione di imprese edificatorie pubbliche, ispirate alla rinnovata volontà dei ceti dirigenti locali, di dare a Castelfranco Veneto un volto nuovo e moderno, adeguato al ritrovato clima di libertà. Gli interventi edilizi, nutriti quanto mai prima, riguardano spazi urbani aperti ed edifici pubblici. Ne sono promotori la borghesia urbana conservatrice dalla fase post-unitaria (il primo sindaco è il conte Francesco Revedin, cui segue, dal 1869 al 1879, l’avv. Giuseppe Rostirolla) alle elezioni amministrative del 7 ottobre 1905, poi, sino al 1911, la giunta comunale liberal-democratica del sindaco Albino Bossum, alleata alle forze socialiste locali.
Le prime avvisaglie dell’imminente conflitto giungono, per i castellani, nella primavera del 1915, con il trasferimento a Firenze (14 aprile), a scopo cautelativo, della Pala di Giorgione, che tornerà nel Duomo di S. Liberale solo il 3 luglio 1919. Castelfranco diviene, in breve, una città di retrovia, alla quale confluiscono, provenienti dal fronte, lunghi treni-ospedale, carichi di soldati feriti. La caserma di cavalleria San Marco, in Borgo Allocco, si trasforma nell’Ospedale da campo n. 202. I soldati morti per le ferite riportate in battaglia risulteranno talmente numerosi (oltre un migliaio, alla fine della guerra), che si dovrà ampliare il Cimitero comunale per potervi inumare tutte le salme. La città è attraversata dai convogli di materiali bellico diretti al fronte e per rendere più fluido il traffico militare, nel 1916 si costruisce il cavalcaferrovia di Borgo Padova.
Castelfranco, per la propria condizione di nodo ferroviario primaria rilevanza strategica nel Veneto centrale, subisce durissimi bombardamenti, tra cui quello terribile della notte di San Silvestro del 1917, che provoca lutti e distruzioni.
Con la fine della Grande Guerra, si apre un periodo di pesante crisi economica e sociale, caratterizzato da un’acuta conflittualità politica e sindacale. Ne sono pienamente coinvolti sia il mondo operaio che quello rurale. L’occupazione delle fabbriche castellane nel 1919, le rivendicazioni ed i sommovimenti dei contadini organizzati nelle Leghe bianche di ispirazione cattolica, la vittoria del Partito Popolare di don Sturzo (24 seggi su 30) nelle elezioni amministrative del 13 settembre 1920, sono solo alcuni tra gli eventi più significativi del difficile periodo post-bellico.
Nelle elezioni comunali del 16 settembre 1923, si vota sull’unica lista presentata, quella fascista. Sindaco della città viene eletto il capostazione Guglielmo Gambetta, lo stesso che, il 21 aprile 1927, aprirà la serie dei podestà e dei commissari prefettizi fascisti.
La Seconda Guerra Mondiale porta con sé bombardamenti e nuovi lutti. Tra l’inverno del 1944 la primavera del 1945, si attiva, a Castelfranco e nel territorio, l’iniziativa resistenziale per opera della Brigata partigiana “Cesare Battisti”, al comando di Gino Sartor. Il 29 aprile 1945, Castelfranco Veneto torna ad essere una città libera. Quale primo sindaco provvisorio, dopo la Liberazione, il Comitato di Liberazione Nazionale castellano nomina l’avvocato Alberto Mario Bossum, che rimarrà in carica sino al 4 marzo 1946.